Il Remote Work è qui per restare
La pandemia ha generato uno stress test globale sul lavoro da remoto ed ora possiamo iniziare a tirare le somme, valutandone l’impatto, comprendendone i limiti e attrezzandoci per coglierne tutti i benefici a livello individuale, aziendale e per l’intera collettività.
In questo articolo riprendo alcune delle analisi più recenti, italiane ed internazionali, in modo da inquadrare alcuni dei principali aspetti da considerare sul lavoro da remoto.
Remote Work, Smart Work o Lavoro Agile?
Chiarisco innanzitutto un punto: io preferisco usare il termine Remote Work e non Smart Work o Lavoro Agile. Questo sia per allinearmi alle consuetudini internazionali, sia perché Remote Work (così come Hybrid Work che è una buona alternativa) identificano un dato di fatto, mentre Smart Work e Lavoro Agile sono degli stadi potenziali in cui l’aggettivo identifica degli auspici, degli obiettivi. Ed anche se in questo articolo ho utilizzato i vari termini come sinonimi (anche perché le ricerche italiane usano in genere smart work), remote work mi pare più corretto. Lo spiego meglio in questo video:
Ora veniamo ai dati partendo dall’Osservatorio sullo Smart Work del Politecnico di Milano che rileva attualmente 4 milioni e 380 mila lavoratori da remoto in Italia.
Ma sono tanti o sono pochi i 4,38 milioni di italiani che lavorano da remoto?
Beh, considerando che erano solo 519 mila nel 2019, il salto è straordinario. Eppure sono poco più della metà dei potenziali remote worker. Difatti, secondo uno studio di ADAPT che ha rielaborato i dati ISTAT, il 36,1% degli occupati, circa 8,2 milioni di lavoratori, svolge professioni potenzialmente lavorabili da remoto. Insomma, siamo solo all’inizio.
Chiariamo un altro fatto. Parlando di Lavoro da Remoto è ormai consuetudine riferirsi sia al 100% full remote ma anche al lavoro ibrido. Ossia il mix tra attività svolta in ufficio e lavoro da casa o da altri luoghi. Questa peraltro è proprio la modalità preferita dai lavoratori e non solo quelli italiani. Riprendo un’altra tavola dall’ottimo Osservatorio CIDA che ha dedicato allo smart working l’edizione di Ottobre 2021 (PDF).
Lavoro da remoto per gli italiani
La preferenza degli italiani a lavorare da remoto è confermata anche dal recente “Work Trends Study” di Adecco.
La soluzione preferita da quasi metà degli italiani è quella di lavorare 2 o 3 giorni la settimana in smart working. Tra i vari dati della ricerca, emerge anche che il 61,4% degli intervistati valuta la possibilità di trasferimento grazie allo Smart Working continuativo.
Naturalmente non sono tutte rose e fiori. Lavorare da remoto non significa semplicemente collegarsi ad internet da casa. È invece un’insieme di modelli organizzativi e di comunicazione, individuali e aziendali, abilitati da strumenti e piattaforme tecnologiche. Il tutto in perenne evoluzione.
Sempre il Politecnico di Milano ha analizzato il cambiamento dell’esperienza lavorativa per gli smart worker. Ne emerge un rapporto abbastanza positivo nell’equilibrio tra gli elementi peggiorativi rispetto a quelli migliorativi.
Il punto, secondo me, è che le dichiarazioni di esperienza positiva denotano gli evidenti vantaggi del remote work per gli individui, mentre sugli aspetti peggiorativi si può e si deve intervenire con nuovi modelli organizzativi, formazione e supporto. In particolare sui temi dell‘Overworking e del Tecnostress evidenziati sempre da POLIMI.
In ogni caso le aziende continuano ad aumentare la quota di inserimenti di smart worker. Un recente report di ThinkRemote riprende alcune delle più recenti ricerche sul fronte HR (Human resources). Ecco alcune evidenze:
– Il 78% dei top-manager HR in Germania, Francia, UK, USA, Canada, Israele e Singapore considera di assumere lavoratori in remoto (Omnipresent, 2021).
– L‘86% tra i manager HR afferma che nei nuovi processi di selezione daranno priorità alla diversità e all’inclusione ed il lavoro da remoto aiuta a perseguire questo obiettivo (HireVue, 2021).L’80% dei manager HR ha impostato le interviste ed i processi di inserimento totalmente in remoto.
– Il 79% ritiene che i processi di selezione in remoto migliorano la diversità.
– Il 38% crede che il maggior ostacolo nell’assumere remote worker sia dovuto alla mentalità dell’azienda. (Talview, 2021).
E allora quali sono le difficoltà nell’adottare il lavoro da remoto o quantomeno un modello ibrido?
Penso siano diverse ed è comunque difficile generalizzare. Riverbed nella sua “Hybrid Work Global Survey 2021” ne ha identificate cinque:
E allora come si fa a districarsi tra le mille complessità e le molteplici opportunità del lavoro da remoto?
Non ho naturalmente una soluzione definitiva, ma ritengo fondamentale riuscire a identificare tutti gli ambiti che tocca (e a volte sconvolge) il remote work. Ho realizzato un semplice schema che ha l’obiettivo di guidare l’attenzione tra i vari elementi.
Da questo modello ne è anche nato un corso di formazione descritto in una pagina web dedicata, nonché un webinar gratuito.